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A 915 metri di altitudine si erge Monteacuto delle Alpi, uno dei tipici paesi in cima al monte, che sembra in equilibrio e dà l’impressione di dover cadere da un momento all’altro, ora di quà ora di là. Da qui possiamo ammirare un panorama stupendo da un balcone, l’unico pezzetto di prato, pochi metri quadrati in posizione orizzontale, ove tutto è verticale e finisce in strapiombo.

E’ un baluardo tra l’Emilia e Toscana ed è documentato che la Contessa Matilde gli abbia dedicato la sua attenzione.
Monteacuto delle Alpi dista sei km. da Lizzano in Belvedere e vi si giunge attraverso Casale, antica borgata ove furono rinvenuti cimeli di interesse storico.
Un tempo costituiva un castello inespugnabile, con torre merlata, cisterna e ponte levatoio. In appoggio a questo vi era anche una rocca fortificata: La Rocchetta.
Data la sua posizione, Monteacuto assumeva grande importanza tanto che i Bolognesi e i Pistoiesi, nel 1298, vollero che quelli di Monteacuto sottoscrivessero gli atti di pace dei due Comuni, per la salvaguardia della  pace e il sicuro transito delle merci.
Lo storico Cherubino Ghirardacci nella sua “Historia Bolognese, edita nel 1605, scriveva che in detto anno (1298) “… alli 14 di novenbre Bolognesi e Pistoiesi fecero accomodare la strada per cui si và dalla città di Bologna alla città Pistoia, acciochè fosse sicura, e che le mercantie di chi andava, e ritornava a piedi e a cavallo fossero sicure…”.
In tal occasione, fra …”Bartolo Bellondi Notaro, e Sindaco del Comune di Bologna e Matteeo di Bartolomeo Notaro e Sindaco di Pistoia si venne a quelle conventioni solenni fra loro…” in seguito alle quali fu sottoscritto un atto (“sotto pena di millelire per ciascuna delle parti”) in cui si richiede l’impegno a rispettarlo anche da parte della “università o comune di Monte Aguto delle Alpi”.
Il paese, che conserva le caratteristiche di strutture tipicamente medioevale e una toponomastica chiaramente indicativa della sua funzione di antico castello fortificato, è stato sottoposto a vincolo di tutela dal Ministero della Pubblica Istruzione, a norma della legge 1497 sulla protezione delle bellezze naturali (D.M. 19 giugno 1968).
Si tratta di un luogo ideale per chi ama la quiete e desidera ritemprarsi vivendo a contatto con una ambiente tipicamente pastorale, e che si presta particolarmente sia per le riposanti passeggiate a mezza costa; sia per le numerose escursioni che si possono effettuare seguendo i vari itinerari che si dipartono dal paese( Madonna del Faggio, Castelluccio di Porretta Terme, Pianaccio, Segavecchia e il Corno alle Scale), fra suggestive gallerie di verde, all’ombra di plurisecolari castagni e di vastissime foreste di faggi.

la storia

Monteacuto delle Alpi è un bellissimo paese medioevale, ricco di storia. La prima citazione risale al 1105 circa, in una bolla di Papa Pasquale II dove Monteacuto è detto «cappella»; sembra che non esistesse ancora un paese propriamente detto ma forse soltanto un piccolo agglomerato.

Gli abitanti sono detti «zingari» (nel senso di girovaghi), perché Monteacuto era un notevole centro mercantile fra i secoli XII e XV, posto su un’importante via di comunicazione fra Emilia e Toscana. Altra denominazione, più tarda, è «capucìn», dovuta al fatto che il paese sorge su un cucuzzolo («capuccio» nel dialetto locale). La possibilità di incrementare i propri guadagni con il commercio attirò qui fin dal XIV secolo varie famiglie del Belvedere e anche di fuori, come si vedrà. Il paese è composto da vari rioni, distinti da un nome antico.

Le Tegge: Monteacuto aveva vocazione mercantile, ma è pur vero che era ricco anche di bestiame (in particolare ovino) che doveva essere alloggiato e nutrito. Nel dialetto locale il vocabolo «teggia» indica una costruzione rustica, spesso porticata, che svolge entrambe le funzioni: vi si custodivano gli animali e il foraggio per nutrirli. Il fatto che sia al plurale può essere indizio di una certa concentrazione di «tegge» in questo luogo, dalla forma di una piazzetta quadrangolare, con ai lati edifici del XVI e XVII secolo. Dal «Dizionario corografico… » dell’abate Serafino Calindri (1781) si apprende che a quel tempo quello delle Tegge era il rione più popoloso del paese, con ben 21 famiglie residenti. Tra esse vi erano i Francia, così detti da un esponente emigrato Oltralpe.

Maltempo: una possibile spiegazione per questo toponimo è data dalla sua posizione, esposta verso il Corno alle Scale e quindi alle burrasche di neve. Qui si trovava l’unica sorgente del paese, che però in estate subiva la scarsità di piogge e si fermava. Esiste ancora la cisterna, recentemente restaurata, che raccoglieva l’acqua di questa sorgente e che risale al XVIII secolo.

Il Fossato: il nome di questo luogo è di significato chiaro, ma la presenza dell’acqua a Monteacuto era scarsa e perciò preziosa. Fino al 1883 vi erano alcune cisterne che raccoglievano l’acqua piovana da destinare a tutti gli usi: due di queste cisterne nel 1600 erano private, ma messe a disposizione di tutti dai proprietari.

Nel 1883 un abitante del paese di grande ingegnosità, Pasquale Poli, quasi ottantenne riuscì a compiere un’impresa ardita, per l’epoca: portare l’acqua a Monteacuto da una sorgente distante alcuni chilometri mediante una conduttura di cóppi di terracotta. Inizialmente subì l’aperto contrasto degli abitanti, che per ragioni non chiare non volevano che si realizzasse questo progetto ma poi, vista la comodità accolsero di buon grado l’acqua in paese. Da qui parte una bella mulattiera selciata, costruita da Pasquale Poli per raggiungere più comodamente il Mulino della Squaglia, di sua proprietà; dalla stessa strada si raggiunge anche il Santuario di Madonna del Faggio (1722). Le famiglie più note sono quelle dei Guccini e dei Poli, questi ultimi detti «placàn», pelacani.

I Trébbi: dal «Dizionario corografico… » di Serafino Calindri si apprende che alla fine del Settecento qui abitava una sola famiglia, fatto quanto mai strano e non spiegato, poiché siamo in pieno paese. Il nome di questo rione deriva dal latino «trivium», col significato di «incontro di tre strade»: qui infatti convergono tre vie, anche se non tutte della stessa importanza. Nel vicino territorio di Montese (MO) la parola trébbo indica una piccola corte comune ad un borgo, un luogo destinato alle attività collettive e al ritrovarsi per «far trébbo», cioè fare chiacchiere con amici, come il nostro «far rugletto». Questo spazio aveva quasi certamente anche una funzione pratica, legata alla trebbiatura, soprattutto nei nostri paesi di montagna dove lo spazio non è mai molto e qualunque superficie piana, anche di modesta estensione, veniva utilizzata per le attività più diverse legate all’agricoltura. Qui, dalla metà del XVIII secolo in avanti, venivano vendute all’incanto le merci che si ricavavano dalle questue pasquali (uova, lana, canapa) oltre il Silla, nella zona di Ciopéda, Volpara, La Zecca ecc: con il ricavato si dicevano Messe per le anime del Purgatorio. La tradizione popolare assegna il nome di Trebbi anche alla zona oltre la chiesa, detta «i trebbi al sole» perché destinata alla trebbiatura del grano e alla maturazione dei frutti.

Tra le famiglie residenti nei Trébbi o nei pressi ci sono i Mattioli, originari di Castelluccio, e i Degli Antoni di Capugnano.

La Torre : è il centro del paese, dove si trovava un fortilizio sorto nel XIII secolo a difesa dei confini del Belvedere, insieme a quelli di Rocca Corneta e di Monte Belvedere. Nella «Descriptio civitatis Bonomie eiusque comitatus» del Cardinale Anglico (1371) il castello di Monteacuto viene descritto come «posto lontano sui monti, al confine con il territorio di Pistoia, su uno sperone ripidissimo, circondato da una palizzata. In questo castello si trova una piccola rocca murata con torre e cisterna; in essa dimora un castellano con otto paggi». Dalla stessa opera si apprende inoltre che a quell’epoca a Monteacuto vi erano otto «fumanti», intendendo con questo termine l’unità fiscale fondamentale per la riscossione delle imposte, corrispondente a famiglia possidente. Il castellano « Johannes de Baro » guadagnava 20 fiorini al mese. Si dice che il grande edificio che dà sulla piazzetta fosse la sede del castellano: in realtà è un edificio posteriore (XV sec) sorto quando già il fortilizio era stato dimesso. È comunque un edificio di grande pregio, che forse fu sede di una famiglia importante. In tempi più vicini a noi, per anni appartenne alla famiglia Pozzi, che si esaurì nel 1943 con la morte di don Raffaele, parroco a Monteacuto dal 1899 alla morte, amatissimo dai fedeli. Grande erudito, sapeva unire la conoscenza a un grande senso di pietà per tutti; seppe aiutare con discrezione molti paesani in difficoltà, perciò fu grandemente compianto. La famiglia Pozzi qui residente proveniva da Grecchia, mentre i Biagi venivano da Lizzano.

Le Lastre : è il primo rione della parte storica del paese. Il nome si deve a un grande affioramento di arenaria su cui furono eretti diversi edifici, seguendone le asperità e la pendenza. A Monteacuto la pietra è dominante, sia nel paesaggio che come materiale da costruzione: tutti gli edifici antichi sono infatti in arenaria locale, con architravi e portali decorati da motivi ornamentali di derivazione comacina.

La Chiesa : dedicata a S. Nicola, conserva all’interno dipinti di scuola bolognese del ‘600 (opere di Faccini e Tiarini) e un bellissimo crocifisso intagliato, opera della scuola del Brustolon, portato a Monteacuto da Bologna a piedi nel 1786 da un gruppo di devoti volenterosi. La forma attuale della chiesa è frutto di lavori settecenteschi, in particolare il portico antistante; la chiesa conserva il pavimento originale in lastre di arenaria e una grande acquasantiera su piede del 1713. Fino alla fine del XIV secolo era parrocchia indipendente, poi fu unita a Lizzano in Belvedere e riacquistò la cura d’anime solo nel 1586, anche se spesso rimase vacante a causa della distanza e dell’isolamento.

Bordilocco : rione della zona meridionale del paese, delimitato da Le Tegge nella parte bassa. Attualmente è circondato da edifici, ma il nome molto particolare sembrerebbe indicare una derivazione da «burgus luci», borgo del bosco o della radura, che forse un tempo occupava l’area soprastante Bordilocco.

Alessandra Biagi

….Perchè questo nome?

Il nome bello di questo nostro meraviglioso paese non presenta misteri etimologici. Offre tuttavia lo spunto ad alcune considerazioni.


MONTE – Il sostantivo monte indica genericamente ciò che si eleva o si sporge. Quindi anche un mucchio di cose o di denaro (banca). Deriva dal latino mons, che aveva appunto questo significato generico e a sua volta derivava dalla radice prelatina mon (Devoto, Diz. Etim.) legata a men, da cui mento, nel senso di sporgenza. Dunque monte è “ciò che sale, che fa salire”, cioè “montare”. Il sostantivo monte anticamente era femminile (es.: Montevecchia, in Brianza). Tra i moltissimi toponimi derivati citiamo qui soltanto Montorio, che secondo l’Olivieri (Diz. Etim. I.) potrebbe significare “monte aureo”. Ma forse significa “monte Giorgio” da Orio (o Jorio) = Giorgio.
ACUTO – Deriva dal latino acutus, significante: a forma di acus (ago) a sua volta derivante da una antica radice ak = “essere puntuto” (da cui anche: acido, acciaio, cacume, ecc.). Dal diminutivo latino acucula è venuto l’antico sostantivo italiano agocchia, che è il nostro goctia. Dall’aggettivo acuto sono derivati moltissimi toponimi tra i quali ricordiamo Guzzano, presente in più luoghi del Bolognese.
DELLE ALPI – “Mi sento domandare spesso perché Monteacuto è detto “delle Alpi” pur essendo sull’Appennino. Si protesta; si dice che è un errore; anzi, un furto alla maestà delle Alpi. E io, senza nulla togliere al loro indiscusso prestigio, mi limito ad affermare che “alpe” è termine generico. I monti della catena settentrionale sono certo le nostre alpi per eccellenza, ma non hanno l’esclusività del nome. Come esistono le Alpi Marittime o le Alpi Cozie o le Alpi Lepontine ecc., esistono anche le Alpi Appennine. Così i nostri monti sono sempre stati denominati dagli antichi, e così possiamo e dobbiamo ancora nominarli. Dunque l’antichissimo e attuale nome di Monteacuto delle Alpi è più che legittimo, come gli altri simili nomi appennini: Alpe di Rocca Corneta; Alpe di S. Pellegrino; Castel dell’Alpi; Alpe di Succiso, e così via, oltre le ben note Alpi Apuane. La cima che sovrasta ogni nostro paese, qualunque sia il suo nome specifico, è detta dai più vecchi genericamente “alpe”, o aipe; il luogo dove si va, anzi, si andava, all’alpeggio con gli animali. La sua etimologia è discussa, ma è interessante notare che è ricollegabile sia al latino albus (bianco), sia addirittura al tema alba / alpà, significante pietra, (DEVOTO, Dizion. etim.), così come al vocabolo sabino alpus, corrispondente al latino albus, (OLIVIERI, Diz. etim. it.), per cui si è indotti a pensare che al colore si è passati a indicare le cime delle più alte montagne, bianche di nude rocce, o candide di neve, o chiare di luce ai primi albori. Coraggio, dunque: usiamolo anche noi, montanari delle Alpi Appennine, questo bel vocabolo: ne abbiamo diritto, anzi, dovere”. (Giorgio Filippi, “La toponomastica dell’Appennino”, in Culta Bononia, 1970, n. 1).

GIORGIO FILIPPI

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